Alla Fiera milanese emergono differenti strade e situazioni imprenditoriali, perlopiù di piccola dimensione produttiva e organizzativa, che hanno identificato nicchie di mercato di qualità trascurate e percorribili
Salone del Mobile e Fuori Salone – che aprono questa settimana a Milano e portano in città progettisti internazionali, aziende e non solo addetti ai lavori – costituiscono sempre una buona occasione per fare il punto sullo stato dell’arte del legame fra cultura del design e imprese, sulla salute delle industrie, le nuove esigenze delle persone, oltre che naturalmente i nuovi prodotti. Almeno un paio le direzioni e i temi divenuti riconoscibili da qualche anno: da una parte la tenuta e conferma delle aziende in salute, più o meno storiche, che hanno affrontato la fase transitoria con una precisa identità, chiarezza di intenti e riconoscibilità di prodotto; dall’altra l’emergere di differenti strade e situazioni imprenditoriali, perlopiù di piccola dimensione produttiva e organizzativa, che hanno identificato nicchie di mercato di qualità trascurate e percorribili.
Sullo sfondo, non senza qualche equivoco teorico e operativo, le opportunità che si sono aperte attorno ai modi dell’autoproduzione, cioè di un progettare e fare esterno o ai margini dei sistemi economici correnti, alla ricerca di un altro modello per far dialogare prodotti, utilizzatori e la società nel suo complesso. In questo contesto il nodo da sciogliere sembra essere se guardare indietro o avanti. Cioè se alimentare il rimpianto di una possibilità in sostanza pre-industriale e invocare un’idea salvifica di artigianato – che di suo ha già in larga misura fallito il confronto con i nuovi tempi –, oppure riflettere su come altre modalità di progettare-produrre-comunicare-vendere (siano artigianali, digitali o entrambe le cose) possono stare, in modo utopico o riformista, “dentro il mondo”.
Senza dunque correre il rischio dell’autoesclusione, certo autoconsolatoria ma di modesta prospettiva. La situazione economica e del lavoro in generale restano certo ancora pesanti, ma l’occasione milanese permette appunto di cogliere alcune indicazioni di quanto finora è stato fatto di positivo e delle vie praticabili, non solo nel furniture design, poichè da diversi anni è divenuta vetrina anche per altre tipologie di prodotti, dall’high tech ai mezzi di trasporto. L’attitudine giusta per guardare a quanto presentato può essere quella che già il designer Achille Castiglioni consigliava ai suoi studenti: “Se non siete curiosi, lasciate perdere”. Perché – a fronte dell’oggettivo perdurare della crisi e delle difficoltà di lavoro, alla luce delle nuove tecnologie di comunicazione, di progettazione, di distribuzione e infine di produzione, legate al digitale e alle reti informatiche e così via – proprio l’elevata concentrazione di situazioni, che si determina a Milano, rende possibile intravedere segnali e ipotesi di scenari per affrontare le rinnovate condizioni economiche, sociali e culturali contemporanee.
Non è per caso che vengono persone da tutto il mondo. Quali siano segnali e scenari resta parecchio da intendere e richiede appunto curiosità, capacità di lettura e comprensione. Senza dubbio stiamo attraversando infatti una fase – e non vale solo per il design – in cui sembra obbligatorio predisporre e dotarsi di strumenti di conoscenza e pensiero, almeno quanto di quelli operativi. Innanzitutto si può cominciare ad andare oltre i luoghi comuni e i “soliti noti” protagonisti – spesso noti più per le copertine che per i buoni progetti –, fra l’altro ogni anno riproposti da media spesso un po’ pigri o vincolati dalle esigenze pubblicitarie.
Quest’anno ad esempio ci sono utili mostre da vedere e di cui discutere: Design italiano oltre la crisi. Autarchia, austerità e autoproduzione in Triennale; Munari politecnico al Museo del Novecento; Le case degli architetti al Salone. Criteri e orientamenti per muoversi arrivano, proprio in questi giorni, dalle parole di addetti ai lavori di qualità. Giulio Cappellini – architetto e designer, talent scout e riferimento con la sua azienda dei maggiori progettisti internazionali – messo di fronte ancora una volta alla falsa questione dell’arte, ribadisce: “Il design è tale solo se resta prodotto seriale, non importa se industriale o artigianale. Il vero obiettivo è entrare nelle case della gente”.
Paola Antonelli, senior curator del Museum of Modern Art di New York, sostiene che, fra l’altro per le nuove condizioni tecnologiche e l’avvento dei nuovi media, il futuro “si gioca in qualche modo nell’anonimato, perché conterà sempre più la sostanza che la firma”. E prosegue sugli oggetti di design: “Mi sono sempre chiesta per prima cosa se abbiano o meno aggiunto qualcosa al nostro mondo e alla nostra vita”. Condizioni e geografia del design, nelle obbligate relazioni con le condizioni di vita delle persone, si presentano in veloce movimento e mutamento e richiedono rinnovate attenzioni e strumenti di “intelligenza”. Curiosità, libertà intellettuale e idee chiare possono allora essere d’aiuto per guardarsi intorno, dentro e fuori il Salone del Mobile
pubblicato su “il fatto quotidiano”, aprile 2014