Questo è il testo di apertura del volume da me curato per Electa “Antonio Citterio. Industrial design”.
Antonio Citterio, architetto, è certo fra i maggiori progettisti italiani; collabora intensamente con alcune delle più importanti industrie del furniture design, non solo del nostro paese, come B&B, Kartell, Flexform, Tisettanta, Flos, Vitra, Arclinea, Ansorg, Iittala, Pozzi Ginori e diverse altre. Al lavoro nell’industrial design ha affiancato, ormai da un ventennio, progetti nel campo dell’architettura, per residenze private, ma soprattutto per spazi pubblici, dagli showroom di vendita ai luoghi della produzione, agli uffici.L’attività di Citterio consente di identificare al meglio le nuove modalità di operare del designer in relazione alle esigenze contemporanee dell’industria. Un intervento che non si limita al progetto isolato di un singolo prodotto, bensì si configura come un rapporto globale, una sorta di servizio “chiavi in mano”, che affianca l’agire dell’impresa: dalla concezione allo sviluppo di una strategia operativa generale, alla progettazione degli specifici prodotti, alle modalità della loro collocazione sul mercato, dalla comunicazione alla presentazione nei punti vendita. Un designer insomma che, all’interno di un team, contribuisce in modo decisivo a determinare i caratteri e le modalità del ciclo di vita dei prodotti dell’industria. Nato nel 1951 a Meda, nel cuore del distretto produttivo della Brianza mobiliera, nella formazione di Citterio ha contato molto la “bottega” – intesa come frequentazione diretta dei luoghi della produzione – affiancata al percorso universitario, condotto abbastanza in autonomia e da autodidatta. Arrivando però a identificare alcuni modelli d’ispirazione e riferimento rimasti costanti nel tempo: l’architettura pre-razionalista italiana fra le guerre, da Asnago-Vender a Terragni, il design di Ray e Charles Eames. “Nel design statunitense – sostiene Citterio – si realizza una modalità collaborativa e non conflittuale di rapporto progettista-azienda; da questo punto di vista Eames è un esempio che mi ha molto influenzato. E naturalmente sono un modello assoluto i suoi prodotti, di grandissima qualità e attualità. Anche nel mio lavoro cerco di progettare seguendo una logica strettamente industriale; di frequente, ad esempio, conta molto di più migliorare progressivamente un prodotto per renderlo producibile più facilmente e in modo economico, che inventarne sempre di nuovi”. La svolta fondamentale nel percorso di Citterio è avvenuta verso la metà degli anni ottanta, con i primi progetti d’architettura per la catena di negozi Esprit, il successo dell’innovativo divano Sity di B&B, che contribuisce ad affermarne l’autorevolezza nel settore del design; e poi l’apertura di un nuovo studio a Milano e il legame professionale e umano con l’architetto americano Terry Dwan, che, fra l’altro, permette significative aperture alla committenza internazionale. Fino ad un ulteriore passaggio al principio del 2000 con l’apertura di un nuovo grande studio nel centro di Milano, prestigiose commesse per quanto riguarda l’architettura e gli interni di spazi pubblici e di lavoro. “Nella mia attività sono molto importanti i rapporti con i committenti, sia in architettura che nel design – prosegue –; ho avuto la fortuna di incontrarne molti speciali, coi quali ho costruito duraturi rapporti di fiducia reciproca, da Piero e Giorgio Busnelli a Rolf Feldbaum, da Piero Gandini a Claudio Luti. Il design è un valore intrinseco e non aggiunto del prodotto: per riuscire ad affermarlo è necessario fare proprie alcune logiche dell’industria e quindi della committenza. Oggi, non si possono sbagliare i prodotti perché richiedono investimenti corposi che non vanno sprecati”.
Non è certo facile capire quali sono gli oggetti giusti per il mercato; nel caso di Citterio, la bussola per orientarsi è garantita da esperienza e gusto, dalla sensibilità verso le trasformazioni in atto nella società, nei comportamenti delle persone, nel mercato.
“La nuova soglia del design è collegata ai processi tecnologici – è opinione dell’architetto –, bisogna cioè riuscire a mostrare, senza che divengano prevaricanti, la complessità tecnica e la tecnologia contenuta nei prodotti; d’altra parte è necessario dialogare con i mutamenti in corso nei modi di vivere, di usare lo spazio. Negli ultimi tempi, ad esempio, mi interessa molto l’idea di una progettazione industriale degli interni d’abitazione e di servizio, una sorta di industrial design degli spazi: arrivare a proporre soluzione unitarie, standardizzate, in grado di risolvere per intero l’arredo domestico o degli spazi pubblici”. Il campo privilegiato del lavoro di Citterio è legato all’architettura degli edifici, all’arredo degli ambienti e ai suoi prodotti. La sensibilità e la competenza che emerge da questi settori, in sostanza un metodo e una prassi progettuale, possono naturalmente essere impiegati in altri campi del design. Ad esempio quelli legati ai mezzi di trasporto, sia che si tratti di pensare il contesto allestitivo entro cui proporne la vendita, sia che ci si occupi, all’interno di un progetto complesso e di team come è quello dell’automobile, di contribuire allo sviluppo di alcuni elementi e aspetti. “Ai tempi del lancio della Smart avevo studiato l’intero sistema espositivo dei punti vendita – racconta Citterio –, indagando sul cambiamento in corso dell’idea e della funzione delle concessionarie; cercai allora di avvicinarne l’immagine a quella degli altri tipi di negozi, con spazi ampi, pavimenti chiari, arredi e ambienti trasformabili nel tempo, grandi immagini alle pareti e situazioni interattive”. Più recentemente, contattato con altri architetti dal Centro Stile Fiat, Citterio ha avuto occasione di condurre riflessioni attorno all’idea di un automobile di “sportività evoluta”, in particolare sul disegno degli interni delle vetture. “Certo le problematiche che deve affrontare il mondo dell’automobile sono vaste e complesse – dice l’architetto –; riguardano anche più in generale le questioni della compatibilità ambientale, dell’energia pulita, e vanno oltre il contributo che può dare il singolo designer; coinvolgono invece l’intero sistema produttivo, le volontà politiche di indirizzare il nostro pianeta e l’economia verso uno sviluppo sostenibile. Il laboratorio di ricerca per Fiat ha operato ovviamente in modo più limitato, ragionando su quali diverranno le caratteristiche dell’automobile sportiva, ad esempio per un marchio come Alfa. La velocità non può essere più la caratteristica principale, mentre si andrà sviluppando l’attenzione per il comfort, la ricerca di un’eleganza di linguaggio nel disegno complessivo del mezzo. Credo in particolare che ci sia molto lavoro da fare sugli interni dell’auto, di frequente oggi caratterizzati da un eccesso di opulenza e ostentazione, talvolta al limite del kitsch, nell’impiego e nella combinazione dei materiali”. Il concept di Citterio per un’Alfa di sportività evoluta muoveva dall’idea di una vettura dove, a veicolo fermo, tutti gli elementi fossero a scomparsa, nulla rimanesse aperto e in vista. “L’idea è ispirata dagli spazi interni delle barche dove tutto è richiudibile – prosegue –, in questo modo prevale ed è riconoscibile solo il disegno delle linee, pulite ed essenziali. Ho cercato poi di portare le mie competenze derivate dal progetto delle sedie da lavoro nel disegno dei sedili, di cui ho ridotto al minimo la struttura di sostegno e gli ingombri. Ho studiato modalità per ottenere una corretta ed ergonomica seduta in grado di adattarsi in modo non macchinoso alle variazioni di altezza e postura delle persone, senza dimenticare l’esigenza di avere un microclima controllato, ottenuto anche grazie a tessuti autotraspiranti; ed infine ho pensato che il sedile doveva essere girevole per permettere un agevole accesso nella vettura”. Gli interni dell’automobile di Citterio, come del resto gran parte dei suoi lavori di design, appaiono semplici e facilmente risolti; celano invece articolate elaborazioni progettuali in grado di ricondurre la complessità delle questioni a una soluzione che appare alla fine giusta e “naturale”.